San benedetto, scritta Arciconfraternita, Santa Scolastica

L’abito confraternale: il «saio» o «sacco»


Confratelli perché!

Risalirebbe all’852 il primo documento (attribuito ad Incmaro, arcivescovo di Reims) che riporta il concetto di “confraternita” nel quale si fa riferimento ad associazioni di fedeli -«geldonie e confraternite»- chiamate a svolgere attività di: «raccolta delle offerte per la Chiesa; mutua assistenza per gli associati; partecipazione alle esequie dei confratelli defunti; distribuzione di aiuti ai poveri; (esse) si riunivano in assemblea per svolgere specifiche pratiche di pietà ed erano tenuti all’obbedienza verso i presbiteri». La data del documento può far asserire, con fondata sicurezza, che anche l’istituto della “confraternita” (per opere di fede e sostegno alle persone) e delle “gilde” (corporazioni professionali di maestri d’opera nelle differenti specializzazioni artigiane) siano figlie della cultura benedettina “ora et labora” diffusa alle aree ed agli ambienti vicini ai Monasteri medievali.

Gli appartenenti a queste Associazioni di laici si chiamavano “confratelli”, come derivazione di “come-fratelli” o “con-i-fratelli”; questo significa che i componenti della Confraternita si consideravano uguali tra di loro, in quanto tutti figli di Dio [Gian Paolo Vigo, IL SACCO, 2009].

Ma, nella realtà, i fratelli di cui si fa cenno dovrebbero essere i “fratres” i monaci come venivano chiamati nella Regola di San Benedetto; una conferma verrebbe fornita dalla circostanza che il “superiore” era chiamato “priore”, come il responsabile dei Monasteri-figli dell’Abbazia benedettina (governata dall’Abate).

Le altre persone che lavoravano, invece, nei cantieri coordinati dai monaci venivano chiamati “compagni” (perché mangiavano il pane insieme durante le pause di lavoro: «cum panem») e le relative associazioni “compagnie” (quindi, “corporazioni” o “gilde”, in tedesco).

Si è toccato il fondo? Purtroppo No. Andate a farvi una passeggiata e vedrete un’erba alta farla da padrona tra i gradini sconnessi dell’ingresso principale.

Tutti uguali perché fratelli.

Il principio che si ritrova negli Statuti delle Confraternite potrebbe essere stato ripreso dal cap. II della Regola: «[l’abate] non faccia differenze di persone nel monastero… tutti siamo una stessa cosa in Cristo, e sotto un unico Signore serviamo in un’unica milizia. “non vi è distinzione di persona davanti a Dio” [Rom 2, 11; Ef 6, 9; Col 3, 4]. Ci distinguiamo... soltanto se siamo trovati migliori degli altri nelle buone opere e nell’umiltà».

Era necessario, quindi, marcare visibilmente l’appartenenza del singolo alla propria Confraternita e - nel contempo - di rendersi anonimi dentro la stessa per fare il bene agli altri senza farsi riconoscere (come accadeva per i monaci). Nella tradizione, l’abito confraternale viene chiamato «saio» o «sacco» ed è composto da alcune componenti-base elementari: il sacco (o tunica); lo scapolare (o la mantellina/mozzetta); il cappuccio (il velo per le consorelle); il cordone (il cingolo); l’impronta (il distintivo/sigillo).

Per la nostra Arciconfraternita.

L’intero capitolo III degli “Statuti & privilegi della Venerabile Archiconfraternita de’ Santi Benedetto e Scholastica di Roma” (1625) è dedicato a “l’habito che deuono portare li Fratelli”: «Statuimo & ordinamo, che l’habito, che dalli Fratelli della nostra Archiconfraternità s’hà da portare, sia un sacco di tela negra con il suo cappuccio attaccato, & cinto in cintura di cordone negro, & un habitino sopra le spalle sin alla piegatura del braccio di saia scotta negra senza fodera con la bottonatura dinanzi orlata dell’istessa saia scotta, & nella spalla sinistra verso il petto habbia l’impronta delli Santi nostri protettori Benedetto, & Scholastica conforme la stampa, che si conferma appresso il Provveditor di Chiesa della nostra Archiconfraternità, accomodata sopra la mozzetta con fettuccia di seta negra, & non altrimente».

Il nero -in quanto colore simbolico della terra, da cui ha principio la vita ed alla quale si torna con la morte - é stato solitamente adottato dalle Confraternite della Buona Morte (“buona” nel senso cristiano del termine, sia per una adeguata preparazione ed assistenza spirituale, sia per i servizi necessari ad accompagnare gli ultimi momenti della vita).

Per la nostra Arciconfraternita, invece, il sacco dei confratelli è nero come il colore del saio dei primi monaci benedettini per rendere visibile l’adesione ai principi della “de humilitate” dettagliati nel capitolo VII della Regola Benedettina.

Sergio BINI

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